Il Brasile non è stato il primo paese straniero nel quale ho abitato.
Irrequieta e priva di fermezza, è sempre stato vivo in me un incontrollabile desiderio di partenza, spostamento, evoluzione.
Mio marito dice che, stare con me, è un lavoro a tempo pieno. Ho bisogno di fuoco, di progetti, di novità, di risultati. Una vita da percorrere in corsa.
Dice che non si può mai abbassare la guardia, che sono una bomba pronta ad esplodere.
Non ho mai fatto segreto che, una volta terminati gli studi, me ne sarei andata.
E anche se non sono sicura che all’epoca mi avessero preso sul serio, così è stato. Il 2 febbraio del lontano 2002, ho riempito la mia grande valigia blu, dalla forma insolita [forse l’unico esemplare di valigia quadrata al mondo!!], ho saluto famiglia, amici, fidanzato dell’epoca e sono volata a Londra.
Un classico.
Ci ero stata due anni prima per una vacanza studio, con una delle mie migliori amiche, C. e mi ero divertita tanto. Ero da pochi mesi diventata maggiorenne ed ero tornata a casa con la sensazione di aver un conto in sospeso con questa città e con i capelli di un colore improbabile!!
Ci ero stata due anni prima per una vacanza studio, con una delle mie migliori amiche, C. e mi ero divertita tanto. Ero da pochi mesi diventata maggiorenne ed ero tornata a casa con la sensazione di aver un conto in sospeso con questa città e con i capelli di un colore improbabile!!
Avevo comprato la tinta “shocking pink” nel mercato di Camden Town, il mio preferito in assoluto e temo che questo rosa, sia rimasto nelle fughe del bagno della casa in cui ero ospitata per molto, molto tempo. Un disastro!!
La seconda volta sono partita con un biglietto di sola andata. Questa volta non c’era nessuno con me e andavo per rimanere.
I tempi erano diversi. Avevo un ridicolo cellulare arancione, dell’Alcatel, che mia madre e la mia migliore amica mi avevano regalato, nonostante mi fossi opposta. Il telefono era l’unico mezzo di comunicazione e la maggior parte delle volte era una cabina a gettoni. Internet era un mondo a me sconosciuto e non rientrava minimamente tra i miei interessi. Erano gli anni delle esperienze, il mondo virtuale non aveva nessuno fascino ed io mi sono dovuta arrangiare.
I tempi erano diversi. Avevo un ridicolo cellulare arancione, dell’Alcatel, che mia madre e la mia migliore amica mi avevano regalato, nonostante mi fossi opposta. Il telefono era l’unico mezzo di comunicazione e la maggior parte delle volte era una cabina a gettoni. Internet era un mondo a me sconosciuto e non rientrava minimamente tra i miei interessi. Erano gli anni delle esperienze, il mondo virtuale non aveva nessuno fascino ed io mi sono dovuta arrangiare.
Tramite amicizie avevo trovato un posto dove dormire, nella parte ovest di Londra, piuttosto distante dal centro. Ealing Broadway, zona tre.
La proprietaria, Vera, era una donna bizzarra e sorridente. La casa era su due piani e come ogni abitazione londinese, aveva il pavimento ricoperto di moquette che scricchiolava ad ogni passo.
Oltre me c’erano il figlio, Tariq, un ragazzone decisamente antipatico, una giapponese dall’inglese incomprensibile che salutava con innumerevoli inchini e una francese, Stephanie, con la quale ho stretto una bellissima amicizia, purtroppo persa nel tempo.
La mia stanza era l’unico punto di riferimento.
Trovare lavoro non è stato facile. Il mio inglese era buono, ma buono, quando hai un curriculum privo di esperienza, diventa un livello insufficiente.
Dopo tre settimane di ricerca, sono riuscita a trovare un impiego part-time in una catena di negozi, nei quali si vendevano articoli di vario genere. Ed è così che mi sono ritrovata a fare la cassiera.
La mia manager, Christine, era una donna mascolina, dalla risata contagiosa. Uno dei miei colleghi, Wayne, è stato per me come un padre. Inglese doc, mai uscito dalla sua amata nazione, solo nel crescere i suoi due figli maschi.
Avevo bisogno di lavorare, avevo bisogno di soldi e loro mi hanno permesso di fare tanti straordinari da farmi, praticamente, avere un lavoro a tempo pieno.
Mi hanno aiutato per il conto in banca, mi hanno aiutato con la National Insurance, per altro arrivata poco prima del mio ritorno in patria!! Sono stati una famiglia e realmente mi sono sentita amata e protetta.
A parte il mio migliore amico, Lorenzo, nessuno dei miei amici è venuto a trovarmi. Con lui abbiamo fatto diverse uscite notturne, per il resto del tempo la mia vita è stata dedita al lavoro.
Con la ragazza francese al massimo andavamo nel pub vicino casa e uscivamo solo quando ci rendevamo conto che, un solo bicchiere in più, ci avrebbe costretto a dormire lì dentro. Più grande di me di qualche anno, usciva da una terribile esperienza che l’aveva costretta ad evitare determinati posti, tra cui il centro città.
Non avevo amici italiani e il mio inglese migliorava ogni giorno. Pena che, con gli anni, buona parte sia andato perso, soprattutto lo slang che mi faceva sentire – so cool!!
Erano gli anni in cui la mia testa era rasata a metà, il mio animo era decisamente rock e la parola ribelle mi calzava a pennello.
Avevo vent’anni e avevo il mondo nelle mie mani.
Questa foto mi ritrae con quella che, tutt’oggi, è la mia migliore amica, G.
Mi aveva invitata per cenare insieme, sorprendendomi con una tavolata di persone a me care, venute per darmi un caloroso saluto.
Guardando questa immagine, è difficile credere che queste giovani rasate e senza regole, siano oggi due mamme [lei ne ha addirittura due, di figli!!].
E’ stata un’esperienza che mi ha fatto crescere tanto, nonostante non sia stato facile. Per niente.
Ho scoperto la solitudine più terrificante, la paura di non farcela, il pensiero del fallimento.
Ho pianto lacrime amare, mi sono trovata a combattere con i miei mostri, più volte di quanto fosse necessario.
Eva contro Eva, come dice il vecchio film.
Ogni volta però tornava il sole [si fa per dire ovviamente, visto che parliamo di Londra!!] e io andavo avanti, dritta come un fuso con la mia vita, con le mie esperienze e ne uscivo ogni giorno più forte.
Purtroppo questa parentesi inglese è durata solo alcuni mesi.
Il Italia era arrivata l’estate, mentre io, a luglio inoltrato, ancora portavo il piumino. Non ho resistito, sono un’animale tropicale e ho bisogno del caldo e del mare per stare bene.
Ma più di tutto non avevo trovato niente in grado di trattenermi e fare la cassiera andava bene, per un pò.
Tornata in Italia mi sono fermata otto anni, quelli necessari per trovare un lavoro remunerativo e di grande soddisfazione, divertirmi come una pazza la notte, conoscere il mio attuale marito, viaggiare tanto e arrivare in Brasile, definitivamente nel maggio del 2010.
Non so se ci sia qualcosa di sbagliato in me, ma credo di essere fatta per le distanze, per le partenze.
Ho imparato negli anni a lasciare andare le cose, le persone. A voltare pagina, a chiudere porte per aprire portoni. Ho imparato a non avere paura di essere dimenticata, di perdere pezzi di vita vissuta, di tagliare col passato. Ho imparato che quello che conta è il domani, il futuro.
La distanza mette in luce le piccole cose, quelle importanti e fortifica i rapporti. La distanza mi permette di amare più forte, di desiderare più forte.
Con mia madre il legame è molto più stretto. Allontanandoci, io e mia sorella, abbiamo cominciato a conoscerci e adesso, quando siamo insieme, siamo inseparabili.
La mia è sempre stata una famiglia libertina, mi hanno sempre appoggiata in ogni scelta. Mi hanno stimolata e assecondata nelle partenze, nonostante fosse difficile separarsi.
Mia madre se n’è andata di casa a vent’anni, salutando Roma e la sua famiglia, per poter sposare il mio babbo, ovviamente toscano. Negli anni ’70, trecento chilometri, erano una grande distanza.
Mia sorella, più giovane di me di otto anni, ha preso la mia stessa strada, abitando prima a Bologna, poi a Londra e in futuro chissà dove.
Le amicizie non le ho mai perse, non quelle importanti almeno. Delle altre “Tô nem aí” come dicono i brasiliani, che tradotto significa “non me ne frega nulla”.
Di tanto in tanto, devo stravolgere la mia vita e con ottomila chilometri di distanza, credo di aver dato il meglio di me.
Sono stata io a volere prima di tutto questo cambiamento. Il Brasile è stato la giusta occasione, ma noi abbiamo imparato che per fortuna non ci arriva mai niente, è l’impegno che invece ci permette di ottenere sempre tutto quello che vogliamo.
E poi c’è lui. Anzi, prima c’è lui. L’uomo che amo e che realizza tutti i miei progetti, compresi quelli impossibili.
E poi c’è lui. Anzi, prima c’è lui. L’uomo che amo e che realizza tutti i miei progetti, compresi quelli impossibili.
Non so se qui sia per sempre, ma so che probabilmente non sarà in Italia.
Mi piace questa condizione di incertezza, mi piace avere le porte spalancate. Mi piace ancora di più non averle proprio le porte.
Non ho mai detto addio, non sono brava nemmeno coi saluti.
Esiste l’adesso e il qui. Esiste il ciao e il ci vediamo presto, anche se poi così non dovesse essere.
Ho lasciato tutto, la prima volta, che ero ancora una bambina, nonostante mi sentissi già donna.
Ho lasciato ancora di più, quando ero ormai una donna, nonostante mi sentissi ancora bambina.
Ho impacchettato tutta la mia esistenza in scatole di cartone e le ho riposte in un garage, ho venduto la macchina, ho lasciato il lavoro, il passato e tutti coloro che significano qualcosa per me.
Nel giro di poche settimane, ho chiuso tutto in una valigia.
Venti chili. Il peso della mia vita passata, quello che mi sono portata in questo paese.
Potrei farlo ancora una, cento, mille volte.
La mia certezza oggi è mio figlio, che sarà sempre con me.
E se saremo pazzi abbastanza, anche mio marito, col quale spero di compiere ancora tante follie e fughe d’amore, fino a quando saremo vecchi abbastanza per decidere di sederci, uno di fianco all’altro, ricordando col sorriso tutto quello che è stato il nostro cammino insieme.
“Sì a Londra! Sapete? Té, nebbia, Big Ben, cibo di merda, tempo peggio, Mary scassa palle Poppins… Londra!”
[The Snatch]
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Che post Bellissimo!!! Wow fai venir voglia di VIVERE!!!!
Vale
Che bel commento. Grazie!!
🙂 che bello 🙂
😉
Quanti post che devo leggere!!
Questo è bellissimo, davvero. Fa veramente venir voglia di vivere.
Mi sa che ho trovato un altro punto che abbiamo in comune.
Anche io un tempo non riuscivo a stare ferma in un posto… Ho sempre avuto voglia di esplorare, di conoscere, di provare, nonostante il mio carattere tendenzialmente timido. A 17 anni me ne sono andata un anno negli Stati Uniti a studiare. Non appena sono tornata, ho rifatto le valigie e sono partita per Londra, dove sono rimasta per un paio di mesi. Poi sono rientrata in Italia, decisa a finire l'ultimo anno di superiori per poi trasferirmi a Londra insieme ad una mia amica. Lei poi si è realmente trasferita, io no… Poco tempo dopo ho incontrato quello che sarebbe diventato mio marito, ed è sorto in me il desiderio di stabilità. Inoltre, mio marito è diverso da me, è sedentario, non aveva viaggiato tanto, sono stata io a fargli capire la bellezza di visitare e conoscere posti sconosciuti.
Forse negli anni ho anche perso un po' di coraggio e sono anche diventata più fifona… Tante volte penso che mi piacerebbe prendere su tutto, cani compresi ovviamente, e ricominciare chissà dove. Ma troppe cose mi trattengono… Il lavoro fisso, la casa appena comprata, la famiglia…
Mi piacerebbe tanto saper vivere come te.
Per ora mi accontento di viaggiare e tornare a Londra di tanto in tanto, il luogo che per me è come un rifugio, dove corro quando sto male (comodo come rifugio, eh??).
Quante cose abbiamo in comune noi due!!
Pensa che io, dopo questa esperienza, sono tornata a Londra dopo ben sette anni e, nel giro di un anno, ci sono stata in vacanza per ben tre volte, con tre persone diverse.
Londra è una città incredibile, che amo profondamente e nella quale non andrei mai più ad abitare.
Rinnovo l'invito in Brasile… una bella vacanza al caldo, è il modo perfetto per curare ogni male!! 🙂
Quello che scopro di te, leggendo difilato i tui post, mi porta a dirti " SAI RAGAZZA ?!? MI PIACI PROPRIO ! "
Mi sarebbe piaciuto moltissimo viaggiare come te, ma oltre alle vacanze-studio durante il liceo, non sono riuscita ad andare molto lontano da casa … I miei mi hanno sempre fatto lavorare nell'attivitá di famiglia , ogni weekend, ogni estate, il lavoro era la priorità .
Fin da ragazzina di 13 anni, mentre i miei coetanei giocavano in campetto, ed io ero costretta dietro quel tanto odiato bancone.
Lo so che non é una giustificazione, una volta cresciuta avrei potuto ribellarmi , il fatto è che non me la sono mai sentita di abbandonare tutto e tutti , per partire avrei avuto bisogno di un sostegno morale da parte dei miei famigliari , non sarei mai stata in grado di partire lasciandomi dietro rancori e bugie … Poi è arrivato mio marito e il lavoro dei miei genitori è diventato anche il mio …