Questo post prende il titolo da una citazione del libro “Libertà”, di Jonathan Franzen. Seicentoventidue pagine divorate.
Dopo tanto tempo, ho ricominciato a leggere. Ed è l’unica nota positiva di questi ultimi giorni.
E’ un post difficile da scrivere, quello di oggi.
Riordinare le idee attualmente, sembra un’impresa ardua. Rimanere in equilibrio, anche.
Tutto è cominciato con un mal di testa, forte e prolungato. Un dolore nuovo, dietro alla nuca, che non interferisce però su certe attività impensabili, quando c’è di mezzo la testa. Tipo leggere, appunto.
Inizialmente mi sono limitata a prendere qualche antidolorifico, inutilmente, fino a quando, martedì scorso, mi sono decisa ad andare al pronto soccorso.
Chiarisco subito che non ho niente di grave!! Giusto per non allarmare nessuno.
Decido di andarci da sola, nonostante mio marito non fosse d’accordo. Abbiamo già provato cosa significa stare ore in un ospedale con un bambino piccolo, noi che quaggiù ce la dobbiamo cavare sempre da soli e allora – no, il bambino rimane a casa!! – mi impunto. E vado.
L’ospedale di cui parlo è una clinica privata. “The best of” che offre la nostra città.
La nostra assicurazione è a copertura nazionale, perché in caso di necessità si possa disporre di strutture e attrezzature che qui mancano e che solo le grandi città del Brasile offrono.
La nostra assicurazione è a copertura parziale, vale a dire che si paga un fisso mensile e una parte minima in caso di medicinali, esami e cose così.
Una visita di controllo, ad esempio, costa 15 reais, circa 7 euro. Senza assicurazione, la stessa visita ne costa 200 di reais!!
In clinica consegno la mia tesserina, mi fanno firmare dei fogli. Mi accompagnano in una sala d’attesa. Una infermiera mi chiede il motivo per cui sono lì, mi misura pressione e febbre.
Poi incontro il medico di turno. Non ho un medico generico io.
Ho una ginecologa. Ho un gastroenterologo. Abbiamo un pediatra. Ma non un medico generico.
Dai sintomi, il verdetto è: cervicalgia.
Mi prescrive degli antidolorifici. Mi prescrive una flebo da fare lì e una punturona di Voltaren, ma questo lo scoprirò solo dopo, quando vedo l’infermiera di prima, con più siringhe in mano che capelli in testa.
Le dico, scherzando, che nonostante sia piena di tatuaggi, io degli aghi ho paura. E lei sorride, è una persona gentile e questo placa un pò la mia voglia di piangere. Che non è dovuta solo alla tensione.
E’ che non sto bene e quando non riesco a concentrarmi io, mi perdo. Proprio così, mi perdo.
E così mi faccio bucare una chiappa e un braccio. Rischio di vomitare quando mi inietta la Dipirona, che non è altro che Novalgina e sento un formicolio allucinante alle parti basse, per via del Voltaren.
L’infermiera mi tranquillizza, dice che è normale e mi accarezza. Io che non sopporto il contatto fisico, soprattutto con estranei e che invece, in quel momento, ho apprezzato tanto.
Qui è consuetudine fare queste cavolo di flebo. Che sia per una febbre, per una dissenteria, per un malore o per quello che vi pare, qui fanno flebo. Prima di ogni cosa, di ogni altra cura.
E così me ne torno a casa e continuo a farmi coccolare da mio marito, che è il migliore anche in questo. Ma non sto meglio.
Quello strano mal di testa continua, senza che l’antidolorifico porti nessun beneficio.
Fino a venerdì, quando il dolore diventa insopportabile e respirare non sembra più un istinto, ma un qualcosa di cui devo ricordarmi, di tanto in tanto.
E allora inizio ad aver paura.
Torniamo all’ospedale. Questa volta tutti insieme. Mio marito non mi ha lasciato andare da sola, nonostante le mie ripetute insistenze. Ed è stato un bene, perché questa volta, la flebo prescritta dal nuovo medico di turno, ha avuto l’effetto di una bomba sul mio corpo.
Non ha tolto il dolore, nè lo ha alleviato, in compenso mi ha procurato un giramento di testa così forte, da non riuscire a reggermi sulle mie gambe per ore. A quel punto mi hanno prescritto una radiografia alla testa, da fare subito.
Se c’è una cosa fantastica di questo posto, è l’immediatezza con cui tutto avviene.
Nel frattempo mio marito ha portato N.E. da una nostra amica. Lode a lei!!
La lastra non ha dato niente di preoccupante, solo una evidente e fortissima sinusite.
Che io la sinusite la conoscevo legata al suo sintomo principale, il raffreddore e invece mi è stato detto che no, non necessariamente. Ci sono anche un paio di vertebre schiacciate, ma che non sono la ragione di questo grande dolore alla nuca.
Mi prescrive l’ennesima flebo, quella che – no, grazie, me ne torno a casa. Con una ricetta per l’antibiotico da prendere, i soliti inutili antidolorifici e due gambe che ancora faticano a funzionare autonomamente.
Tutto questo è il resoconto di quello che è successo.
Poi c’è la mia testa, al di là di quel dolore. Quella dove risiedono la mia mente e i miei pensieri. C’è una caduta psicologica, inaspettata e violenta. Tanto da non riuscire a fermarla, né rallentarla.
Ho cercato di frenare con tutta me stessa e ne ho ricavato solo di ripartire con maggior potenza, col gas al massimo, fino quasi a fondere il motore. Quello che gira dentro me. Quello che lega cervello, cuore e anima.
Sono stati giorni surreali, con niente di bello.
Con la testa dolorante, che se ne andava per conto suo. E sembrava aver scelto di andare giù, portandomi con se.
Non lo so cosa sia stato. Non so se accade.
So che ho già passato momenti di questo tipo, ma mai con questa ferocia.
E’ come se fosse uscito fuori un dolore antico e una rabbia e una confusione che non ricordavo o che forse non avevo ancora conosciuto del tutto. Sono stati giorni difficili per me, quanto per chi mi sta accanto. Capire di sbagliare e non poterci fare niente. Capire di camminare sul ciglio e non riuscire a trovare un piano stabile. Capire di essere al limite e non vederne il confine.
Come si chiama quando tutto appare nero, sbagliato, difficile, insuperabile, fuori controllo. Quando la felicità sembra sparita e piangersi addosso la soluzione più naturale. Quando l’ira diventa ingestibile, le parole escono da sole, il viso sembra quello di un’altra donna.
Una donna brutta, che guarda la propria immagine riflessa su uno specchio, senza riconoscersi. Si domanda quando è invecchiata così, da dove è uscito quel nero che le contorna gli occhi e quelle brutte rughe intorno alla bocca. Si sente ridicola mentre tenta un sorriso, che appare come una brutta copia dell’originale, tanto è forzato ed innaturale.
E’ proprio allora però, che mi ricordo di essere un essere umano e che non va sempre tutto bene e che non sono invincibile e così forte, come faccio credere da tutta la vita.
E dico che cambierò, che mi tirerò su, che tornerò la stessa di prima e lo giuro. Piango anche, che non so più da quanto non uscissero lacrime di questo tipo. Che fino ad oggi erano di gioia, quella gioia che adesso non appare più così limpida.
E poi ci ricasco. Urlo e sbraito cose di cui mi pentirò pochi minuti dopo. Quando sarà troppo tardi.
Rimetto in gioco la mia vita. Il mio passato, il presente e un futuro che non mi sembra poi così splendente. Il primo perché schiaccia, il secondo perché confonde, l’ultimo perché spaventa.
Mi compatisco, perché sono molto sfortunata e so che non è vero. Però lo penso veramente ed è il controsenso che rende perfettamente l’idea.
Follia è la prima parole che mi viene in mente. La prima di una lunga serie.
Ma non è quello. Non è nemmeno depressione.
Forse è stanchezza. Un malessere fisico, che si è spinto un pò troppo in là.
Il mio corpo non sta bene e me lo urla in altri mille modi. Un ciclo che non è un ciclo, ma che finge di esserlo quando non dovrebbe. Lo stomaco che brucia, come ogni altra parte di me. La nausea, che non è soltanto quella che provo pensando alla me.medesima di questi giorni e che spero scompaia, veloce come è arrivata.
Me.medesima, il nickname che uso da sempre.
Un pò egocentrico, come lo sono stata in questi giorni. Perché quando non si sta bene, risultata difficile pensare agli altri. Anche quando gli altri sono tutta la tua vita, tutto quello che conta.
Ieri era la festa del babbo e io non l’ho resa speciale.
Oggi è lunedì. Ho ricominciato a scrivere. C’è il sole.
Spero che rimanga splendente così, anche quando arriverà la notte. Anche quando i miei mostri torneranno a bussare alla porta.
Si cade e ci si rialza. E’ questo il gioco del mondo.
“Esiste una specie di felicità nell’infelicità, dopotutto, se si tratta dell’infelicità giusta.”
[Libertà – Jonathan Franzen]
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Coraggio, la fatica di apparire sempre al meglio, forti e invincibili prima o poi chiede sempre il conto. E si hanno dei momenti di black out totale, si piange, si urla, si strepita..e poi piano piano si ricaricano le pile e si riprende, piano piano. Un abbraccio
Piano piano. Proprio così.
Abbraccio anche io te e fai buon viaggio!!
Mi dispiace tento, il brutto di star male, oltre al male in sè, è temere il peggio, non capire cosa stia accadendo, soprattutto quando, come nel tuo caso, le prime cure non danno risultato.
Anche se non ami il contatto fisico da parte di estranei (neppure io!) ti do una carezzina piano, spero tu stia presto meglio, davvero.
sandra http://ilibridisandra.wordpress.com
Prendo la carezza con piacere. Gli antibiotici stanno aiutando e insieme al fisico, anche la mente riprende forza.
Si cade e ci si rialza. E' questo il gioco del mondo. Lo sai bene. E ti rialzerai.
Lo dobbiamo a noi stesse. Sempre.
A volte l'equilibrio (anche apparentemente solidissimo) che ci siamo creati e in cui ci muoviamo più o meno con leggerezza rivela la sua fragilità.
Sono i momenti più duri perché siamo faccia a faccia con quei pezzi di noi che andiamo sollevando ogni giorno, il più delle volte senza neanche accorgercene, per portarceli dietro.
Ma da qualche parte li rincontreremo sempre, io lo so.
Speriamo solo che appaiano ogni volta meno taglienti.
Per quel che posso vorrei tanto saper toglierti una di quelle schegge dal cuore.
Abbraccio.
Ce la possiamo raccontare quanto ci pare. Il fatto è che rimane tutto lì, incastrato dentro di noi. Per quanto bene si riesca a nasconderli, certi sentimenti, arriva sempre un momento in cui siamo costretti a dargli una spolverata, giusto un attimo, prima di metterli nuovamente al sicuro.
Lontano dagli occhi. E dal cuore.
Potessi, anche io toglierei qualche scheggia dal tuo cuore.
I momenti "no" capitano a tutti, quando si è giù di morale, si vede tutto nero, magari non si sa neppure perchè.
Ma tu sei una grande, mi sono letta avidamente il tuo blog appena l'ho scoperto, ed è un tripudio di positività ed energia! Bisogna solo essere più magnanimi con se stessi, sapersi concedere e perdonare qualche piccola caduta, coccolarsi e lasciarsi coccolare, lasciarsi il tempo per leccarsi le ferite, per poi rialzarsi più forti di prima! E il sole e i colori che hai dentro torneranno a risplendere!
Vero vero vero!!
Grazie.
Ho letto anche io alcuni tuoi post. Che bella la storia dell'incontro col tuo compagno, che belle le parole con cui descrivi il tuo piccolo e che bella Roma!!
oh, piccola! no!!!!!
forza forza… spero almeno il mal di testa sia passato a questo punto 🙁
Grazie!! Per tutto.
Mi dispiace ritrovarti così dopo le belle e emozionanti giornate italiane..
Credo che il tuo corpo ti stia avvertendo che ti devi prendere un po' cura di te stessa e soprattutto abbandonare i tanti pensieri del post precedente. So che sono pensieri importanti, ma la mente ogni tanto ha bisogno di libertà e leggerezza. Dopo una pausa in cui seguire solo l'istinto forse tutto ti apparirà più chiaro. Te lo auguro con tutto il cuore
Sì, bisogna allentare un pò la presa certe volte.
Anche di fronte a pensieri e progetti importanti!!
Grazie.
Ascolta il tuo corpo e prenditi cura di te.
Oh come son brava a predicar bene e poi… fai come riesci, fai come puoi. Prova ad accogliere se puoi
A volte è più facile a dirsi che a farsi, lo so. Ma provare è un buon inizio!!
Grazie.
Pressione solo pressione. Come diceva Pasolini "È come quando in una città piove e si sono ingorgati i tombini. l’acqua sale, è un’acqua innocente, acqua piovana, non ha né la furia del mare né la cattiveria delle correnti di un fiume. Però, per una ragione qualsiasi non scende ma sale. È la stessa acqua piovana di tante poesiole infantili e delle musichette del "cantando sotto la pioggia". Ma sale e ti annega….
Vediamo dove si sgorga questa maledetta vasca, prima che restiamo tutti annegati.
Alessandro!! Citazione perfetta.
Mi metto alla ricerca del tappo, della sopracitata vasca. E speriamo lo scarico funzioni.
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