Metastasi di Melanoma. Il cancro #2 [I giorni in ospedale]

Due tumori in meno di due anni sono tanti.
Due tumori in due punti del corpo tanto differenti spaventano.
Due tumori ad uno stadio così avanzato ti mettono di fronte ad una realtà decisamente scomoda.

Il primo tumore lo hanno tolto dalla mia zona lombare e senza conseguenze, con enorme sorpresa di tutti – medici in primis. Il secondo è arrivato inaspettato e me lo hanno trovato in testa. Cancro al cervello, ché da queste parti noi le cose le chiamiamo col giusto nome e non cerchiamo di addolcire alcuna pillola. Non esiste niente di delicato quando ti viene detto – e confermato – che nella tua testa c’è un male che potrebbe portarti via, esattamente come è accaduto la prima volta. Magari ecco, se possibile la seconda volta sconvolge meno. Preparati non ci si arriva mai e dico Mai, però la paura si gestisce diversamente forse. Almeno è quello che è accaduto a me, che non mi sono mai fatta sopraffare dal terrore.
Non ho cercato nulla su internet, niente di niente. Idem mio marito. Non abbiamo avuto la tentazione, tantomeno il tempo di leggere qualcosa a riguardo. Il web è un luogo oscuro, dove le opinioni si sprecano. Non abbiamo ascoltato nessuno che non fossero i medici che – con una delicatezza fuori dal comune – ci hanno seguito per tutto il tempo, spiegandoci tutto nel dettaglio e tenendoci sempre informati.

La clinica dove sono stata ricoverata è la A.C. Camargo Cancer Center, uno dei migliori ospedali oncologici di tutto il paese. Sono stati tredici giorni e dodici notti di ospedale. Non saprei dire se siano stati pochi o tanti, ma so che sono passati rapidamente e dolcemente su di me. Sì, avete letto bene. Sono stati giorni che non ricorderò con sentimenti negativi, sono stati giorni delicati. Lenti nel quotidiano e veloci nel complesso. Sono stati giorni fatti di aghi, flebo, esami su esami su esami, di ematomi, di tanti sorrisi e poche lacrime. Sono stati giorni di preparazione prima e di recupero dopo. Sono stati giorni di pasti ad orari precisi, di abiti comodi, di passeggiate lungo i corridoi e di chiacchiere ritrovate con una mamma che ho sentito vicina come non mai. Sono stati giorni in cui i miei figli erano un pensiero costante ma la cui presenza era quasi assente. I pochi momenti insieme erano magici, la loro allegria contagiosa.
Nella stanza 425 ho vissuto giorni sereni. L’ho condivisa prima con Flavia, una ragazzona con una macchina drenante installata sulla schiena e dopo con Dona Gertrude, una signora di oltre sessant’anni con mezzo polmone e l’aria austera. Mi piaceva la sua compagnia, parlava poco e nulla ma soprattutto mi interpellava all’occorrenza.

Mi hanno ricoverata il giorno 7 giugno e subito sono stata medicata attraverso antinfiammatori e anticonvulsivanti, per evitare nuove crisi. Nel giro di poco i miei vuoti di memoria sono completamente spariti, risanati. Le parole sono tornate in mio possesso, sono tornate nella mia testa e di conseguenza nella mia bocca. È stato bellissimo e consolatorio ritrovare in me la capacità di sfruttare al meglio la mia capacità linguistica. Non ho più chiuso la bocca da allora, come se formulare frasi di senso compiuto fosse un dovere, oltre che un piacere.
Il mio corpo si presentava differente rispetto alla prima volta, quella di due anni fa. Un mese e mezzo dopo il parto ti porti dietro i chili di una recente gravidanza, porti i segni di un cesareo che non avresti voluto e quando ti tolgono i linfonodi sentinella all’inguine lo fanno accanto ad una cicatrice ancora fresca. Il seno è gonfio di latte e tu – nello specifico io! – fai di tutto per non interrompere quel momento così speciale e ti senti davvero di aver fatto un miracolo quando capisci di esserci riuscita. Quasi ventun mesi di allattamento al seno sono un traguardo spettacolare, soprattutto per chi ha dovuto ripetutamente interrompere scoprendo ogni volta la voglia di sua figlia di rimanere attaccata. Quella prima volta mi trovavo nell’ospedale IGESP e poco prima dell’intervento mi ero nascosta in una stanza per tirare via il latte che durante l’intervento sarebbe uscito senza il permesso di nessuno. Producevo una quantità di latte incredibile, tanto che durante l’operazione – mentre ero sedata ma non addormentata – mi sono messa a farfugliare qualcosa a riguardo e a lamentare dolore al seno quando messa a pancia in giù.
Questa volta è stato diverso. Entrambi i miei figli potevano stare senza di me ed il mio corpo si presentava forte ed in ottima forma fisica.

La prima settimana è stata di preparazione. In realtà l’operazione doveva avvenire prima, ma per mancanza di autorizzazioni e di un’anestesista disponibile hanno rimandato.
Il 15 giugno è stato il giorno dell’intervento alla mia testa, lo stesso giorno del compleanno di mia madre. Una data che entrambe non scorderemo facilmente. La sua storia racconta di una figlia a cui – a grande distanza dal giorno della sua nascita – ha ridato la vita. È una versione molto speciale che desidero ricordare, di un evento che di bello non ha granché. La versione originale invece racconta di un medico giapponese – l’adorabile dottor Paulo, il giapponese – che ha operato la mia testa aprendola e ripulendola completamente nel giorno in cui mia madre è nata. Dona Savina, come la chiama lui!

La mattina presto il dottore è passato per controllare il mio stato di salute e l’umore anche, sorprendendosi nel trovarmi tranquilla. Mi ha disegnato col pennarello indelebile una stella sulla fronte – quella che vedete in questa foto – e che a detta sua doveva servire per confermare durante l’operazione la parte da operare, nel mio caso la sinistra. Poi mi ha salutato ed io mi sono preparata. Quando sono venuti a prendermi ho abbracciato tutta la mia famiglia e sono andata incontro al mio destino. Ancora una volta senza paura. Mi hanno messo in una stanza insieme ad altre persone, tutte sdraiate sul proprio lettino ed in attesa del proprio “turno”. Mi sono sentita sola in quella stanza e per questo motivo ho attaccato bottone al ragazzo giovane che si trovava al mio fianco, un tale di nome Diogo. Abbiamo così cominciato una conversazione che ha preso la giusta piega, quella che ti permette di non pensare e di sorridere di tanti argomenti. Ho scoperto che lui si trovava lì per togliere la tiroide che da qualche anno gli creava problemi, gli ho spiegato poi il mio problema. Abbiamo sorriso, prima di salutarsi ed avviarsi ancora una volta verso un destino che nel mio caso si presentava alquanto perfido.
In sala operatoria sono rimasta sveglia a lungo, sempre in attesa dell’anestesista ritardataria. Ho trovato ad attendermi un lettino molto stretto e rigido dove poco dopo mi avrebbero adagiata, con sopra un marchingegno degno di un film del terrore. Una sorta di ragno meccanico che mi hanno spiegato sarebbe servito a tenere immobile la mia testa. Ancora una volta non ho avuto paura e mi sono sentita un po’ fuori di testa. Magari lo ero davvero, magari invece stavo solo affrontando quello che era necessario per poter vivere il mio futuro – perché il futuro a me preme, molto più di un’operazione al cervello!
Una volta arrivata l’anestesista – una donna orientale anche lei e non l’uomo che qualche giorno prima si era presentato in camera mia per farmi alcune domande – hanno cominciato i preparativi e dopo alcuni minuti sono sprofondata in un sonno profondo, quel buio che a me non dispiace affatto e che immagino somigli alla morte ma che invece non lo è.

Perché poi arriva il risveglio ed è luce, di nuovo.
Non sentivo dolore ma mi sentivo strana. Ero cosciente quando subito mi è stato permesso di vedere mio marito e mia madre, mi sentivo vigile nonostante lo stordimento. Mi hanno immediatamente portato nel reparto di terapia intensiva, dove avrei trascorso quella che senza dubbio è stata la notte più difficile di tutta la permanenza in ospedale e dove ho conosciuto le uniche due infermiere un pò meno delicate di tutta la struttura, proprio nel luogo dove avrei dovuto ricevere la gentilezza che mi è stata riservata invece prima e dopo nella mia camera. Ero sola, completamente e per quasi tutto il tempo nonostante davanti ai miei occhi ci fosse un gran movimento di persone. Nessuno della mia famiglia poteva essere al mio fianco, non mi era stato concesso alcun mezzo di comunicazione. La notte è trascorsa lenta e un po’ dolorosa, ma non troppo. Mi svegliavo spesso, mi lamentavo poco. L’emicrania mi ha accompagnato per giorni, forte. Dopo ore di tentativi mi hanno concesso di andare in bagno, accompagnandomi. Mi muovevo come un animale ferito, trasportata come fossi carne da macello. Mi sono vista allo specchio e non avrei voluto. Lo spettacolo che si presentava ai miei occhi non era bello. La mia faccia era sformata, cominciavano a manifestarsi i primi ematomi che alcuni giorni dopo avrebbero ricoperto metà della mia faccia, gonfiandola in maniera spropositata. I capelli. I miei lunghi capelli in parte andati, rasati ed una benda bianca che ancora non permetteva di capire l’entità del danno.
Un mostro, ecco come mi sentivo. La stessa definizione che un paio di giorni dopo, quando finalmente ho avuto il coraggio di mostrarmi ai miei figli, Noah Enzo mi avrebbe dato. Mostro, detto a ragione ma un’unica volta. Dopo mi ha abbracciata e detto che non importa il mio aspetto. È stato consolatorio! Nina Flor invece ha solo capito che la mamma ha “dodoi” – ovvero sta male – continuando ad agire come al solito.
Una notte passata a digiuno, senza poter bere un solo goccio di acqua così da poter fare una TAC di controllo subito la mattina seguente, appena sveglia. Fatta quella, mi hanno concesso una doccia con tanto di capelli lavati ma seduta su una sorta di sedia a rotelle completamente in ferro, nuda ed impotente. Mi sono sentita vulnerabile e debole. Mi sono lasciata lavare, ho goduto della sensazione dell’acqua che ho sperato ripulisse non solo il corpo ma soprattutto l’anima ferita.
I capelli ancora sporchi di sangue erano completamente annodati, un pezzo lo abbiamo tagliato. Il resto è rimasto intrecciato, un po’ come i miei sentimenti.
Una volta terminato ho potuto mangiare qualcosa. Le mie braccia piene di aghi. Quando ho chiesto di sfilare quello sulla mano per via del dolore ho scoperto che sembrava più che altro un piccolo tubo. Al polso l’arteria bucata per essere libera di essere usata ad ogni prelievo necessario. Poi una serie infinita di buchi per cercare una nuova vena per la flebo, senza successo. La mia testa che comincia a girare, la nausea forte, la vista appannata fissa. Sensazioni che non scorderò mai.
Uscita di lì ero una nuova versione di me stessa. Ammaccata, ma con tanta grinta e voglia di ricominciare. Da un punto qualunque. Potevo respirare a pieni polmoni.
C’ero ed ero viva.

La TAC alla testa ha mostrato che la pulizia fatta dal dottor Paulo è riuscita, il cancro dovrebbe essere stato eliminato totalmente. La PET al corpo di qualche giorno prima aveva invece confermato la pulizia del mio corpo, privo di qualunque tumore.
Metastasi di melanoma invece, quella in testa. La conferma è arrivata praticamente subito.
Poche ore dopo quella notte critica mi trovavo nella mia nuova stanza, la n.417 e conoscevo una donna, Roberta, attraverso le poche parole del marito. Una donna segnata dal dolore, piena di ematomi e cancri sparsi apparentemente incurabili. Una confusionaria, per il volume sempre alto della TV. Mi sono lamentata, come una stupida sebbene con gentilezza. Poi il marito ci ha spiegato e raccontato, mi ha anche mostrati le foto dei loro due figli. Un maschio e una femmina, piccoli abbastanza da aver bisogno ancora della presenza costante di una madre che invece non può esserci. Parlava con un filo di voce, flebile quasi come quella inesistente di lei. Ho smesso di reclamare, ho taciuto. Ho pianto, a lungo. Ho pianto tutte le lacrime che non avevo versato per me.
Quattro giorni, il tempo che mi è stato concesso per riprendermi. Giorni in cui ho tolto il grande cerotto dalla mia testa e fatto i conti col mio nuovo – bizzarro – aspetto. Ho visto la mia faccia cambiare e gonfiare. La mia pelle annerire. Ho visto l’enorme cicatrice, la testa rasata in modo innaturale. Ho visto una donna rovinata nell’aspetto ma non nel rispetto verso se stessa.

L’operazione sembra abbia ripulito completamente la mia testa, il cancro sebbene molto grande si trovava in superficie.
Sono uscita da questo ospedale con la testa rotta ma sulle mie gambe e con le mie forze, l’ho fatto per tornare a casa dai miei figli.
Sono fortunata. Sono davvero fortunata.
Basta cercare, talvolta un po’ più a fondo del fondo – se mi concedete il gioco di parole – ma davvero non è difficile trovare un motivo valido per essere felici. Io non sono calma di natura, non sono una che prende quello che viene. Ma della vita io sono affamata, io divoro questo mondo e cerco di realizzare ogni mio sogno. A qualunque costo. Qualcuno l’ho scelto e progettato, altri mi ci sono ritrovata dentro e con le mie forze cerco di uscirne. Vincitrice, ancora una volta.

Sono arrivate alcune delle risposte che aspettavamo e non sono quelle sperate. La mutazione genetica BRAF sulla quale contavamo per poter usufruire dell’immunoterapia in maniera più agile nell’applicazione – probabilmente con compresse – e quindi anche con maggiori possibilità nell’efficacia, purtroppo non esiste. L’esame istologico ha confermato con una biopsia sul primo melanoma, quello prelevato due anni fa, che non è presente ed il barbuto dottor Milton ci ha anticipato che trattandosi di metastasi si deduce al 96% che nemmeno quello in testa sia in possesso di questa mutazione.
Non una buona notizia, ma una brutta notizia non significa che stiamo perdendo.
Domani abbiamo l’incontro proprio col dottor Milton, che ci indicherà tutte le terapia di cui il mio corpo ha bisogno con la sua consueta calma e dolcezza. Radioterapia sicuramente, ma dosi e tempi e modalità e di conseguenza anche permanenza in questa città le scopriremo solo durante il nostro incontro.

Questo è, per adesso. Fisicamente sto recuperando bene, la mente continua positiva.
Ho la mia famiglia accanto e non mi serve altro per il momento.
Una buona notizia magari. Ecco, quella sì.

 

 

“Si sa, capita a tanta gente, ma non si pensa mai che potrebbe capitare a noi. Questo era sempre stato anche il mio atteggiamento.
Così, quando capitò a me, ero impreparato come tutti e in un primo momento fu come se davvero succedesse a qualcun altro.
«Signor Terzani, lei ha il cancro», disse il medico, ma era come non parlasse a me, tanto è vero — e me ne accorsi subito, meravigliandomi — che non mi disperai, non mi commossi: come se in fondo la cosa non mi riguardasse.” – Tiziano Terzani

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15 Comments

  1. Alice Luglio 2, 2018 at 12:35 pm

    Ho letto tutto d’un fiato oggi.
    Un mostro guerriero, combattente ed instancabile, legato alla vita, per la quale, da sempre, ti sei battuta. Sono sicura che il Tuo dolce Noah Enzo intendesse proprio questo. Il suo piccolo cuore avrà faticato non poco a vedere la sua mãe così e la sua innocenza avrà parlato di conseguenza.
    Eva, benché ferita, la tua anima splende. C’e ancora tanto spazio per cambiamenti, colori, amore e sogni.
    Sei una vincitrice.
    Ti abbraccio forte

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  2. GABRIELA Luglio 2, 2018 at 1:23 pm

    tu sei un girasole per me…
    solare…unica e piena di sfumature
    tu sei per me una mamma dal cuore dolce…c
    che sa emozionare anche le pietre ed ogni essere vivente
    tu sei per me l arcobaleno più bello che possa colorare il cielo
    tu sei per me una guerriera…si la mia guerriera……
    ti voglio bene Eva…io e nicolas ti amavano da prima ma ora ancor di più…..

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  3. Lia Luglio 2, 2018 at 1:46 pm

    Ogni commento oggi, dopo queste tue parole, mi sembrerebbe una sciocchezza.
    Mi sento però di parlare per ringraziarti…oggi è una giornata difficile per me ma tu mi stai dando forza e mi stai trasmettendo la tua determinazione ed il tuo coraggio!!! Sei un’esempio da seguire, fatti abbracciare dalla tua mamma, da tuo marito, dai tuoi bambini e dai tuoi amici…io, anche se virtualmente, sono tra loro!!!
    Lia

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  4. Cecilia Luglio 2, 2018 at 3:45 pm

    Grazie di regalarci momenti della tua vita, quelli belli ma soprattutto quelli meno belli. Ci aiuti a riflettere su cosa è veramente importante. Grazie

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  5. la grazia Luglio 2, 2018 at 4:48 pm

    ti diranno di non splendere e tu SPLENDI credo l’ abbia scritto pasolini, sto facendo le correzioni della bozza del mio libro che si intitolerà la grazia, è dedicato ai bambini, sarà un libro patetico in cui dalle piccole cose si ricavano grandi risultati, qualcuno si chiederà da dove mi sia venuta un’ idea simile, molti lo ignoreranno pensando di fare bene nel cercare soluzioni difficili. una mia amica ebbe un intervento simile a diciotto anni, per noi tutte fu uno shock quando andammo a trovarla aveva i lunghissimi capelli rossi rasati a zero, ma era radiosa, dopo alcuni mesi si iscrisse ad architettura per poi laurearsi a pieni voti. Negli anni ho conosciuto bambini e bambine nel tuo stesso stato, mio figlio se vede un bambino con una grossa cicatrice sulla testa lo abbraccia e gli fa le carezze, un’ istinto salvifico credo. Spero tu non debba fare tutte le terapie, un abbraccio speciale a tua mamma che impavida prende l’ aereo sorvola l’ oceano per la sua bimba, e porta nel volto la luce luminosa dell’ amore, mia madre non ce la farebbe, che altro aggiungere, non so se ti fanno piacere tutte queste parole, spero ti scaldino il cuore prima del tuffo nell’ oceano dove ti rivoglio bella e libera.

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  6. NonPuòEssereVero Luglio 2, 2018 at 5:44 pm

    Avevo trovato il tuo blog parecchio tempo fa, eri appena diventata mamma di Noah Enzo e lo avevo letto tutto, poi avevo continuato a seguirti.
    In questi mesi mi sono chiesta che fine avessi fatto e poi per caso ho scoperto che eri sotto i ferri e su Fb chi ti segue aspettava notizie. Infine questi due post.

    Un paio di giorni fa mi è capitato che mi dicessero qualcosa tipo “con tutto quello che ti capita sei sempre forte” e invece di dire una qualsiasi frase di circostanza ho detto di cercare il tuo blog. Spero lo abbiano fatto. Un abbraccio.

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  7. Lara Luglio 2, 2018 at 6:54 pm

    Sei straordinaria Eva. Un abbraccio! Lara

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  8. Valentina Luglio 2, 2018 at 8:06 pm

    tu sei vita, energia e positività… avrei voluto leggere che le ultime notizie avevano finalmente segnato la fine della battaglia con questo mostro terribile, invece sembra sia ancora salita. So che arriverai alla vetta e vincerai la tua battaglia, lo so, lo sento. Ti abbraccio virtualmente, sperando di farlo con il cuore quando tornerai in Italia. Intanto penso a te con la positività nel cuore

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  9. Assunta Luglio 2, 2018 at 8:24 pm

    Sei semplicemente una gran donna che merita la vita è di viverla nel migliore dei modi…e con le lac6 agli occhi ti stringo un forte abbraccio e ti mando un gran sorriso virtuali

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  10. Marcella Luglio 3, 2018 at 6:44 am

    Aggiungo i miei pensieri positivi e resto in attesa di buone notizie. Un abbraccio.

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  11. Elisa Luglio 4, 2018 at 6:08 am

    Ciao Eva,
    ti ho “conosciuta” su instagram, le foto coloratissime di questa ragazza tatuata e della sua bellissima famiglia mi hanno subito colpita, poi ho iniziato a leggere il tuo blog e mi sono persa….. la vita a volte e’ davvero stronza ma tu sei una guerriera: non mollare !!
    ti abbraccio forte
    Elisa

    Reply
  12. claudiag Luglio 6, 2018 at 1:53 pm

    Sei una donna straordinaria, veramente. Spero che tu possa riprendere presto la tua vita nel migliore dei modi.
    Un grandissimo in bocca al lupo e un abbraccio forte. claudiag

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  13. Franci Luglio 11, 2018 at 4:16 pm

    Non ho parole, hai una forza incredibile… oltre ad essere una meravigliosa narratrice.
    In bocca al lupo per tutto, la tua forza è di grande ispirazione.
    Un bacio. F.

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  14. Miele Agosto 22, 2018 at 8:35 am

    Leggo solo oggi. Leggo queste durissime parole, le leggo scritte dalla “solita” Eva alla quale mi sento così legata, e allo stesso tempo scritte da una donna nuova, trasformata. Una donna che ora sembra stare appena adagiata, quasi sospesa, sull’essenza stessa delle cose e della vita. Ti immagino a gambe incrociate, nella posizione del loto, ad osservare ciò che pochissimi riescono a vedere, e a cercare di trasformare tutto ciò in positività, energia e forza.
    Sei una donna spettacolare e per quanto posso faccio di tutto, da quaggiù, per aiutarti a farlo.
    Ti abbraccio.
    Col cuore.
    Elisa

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